Che mondo sarà senza Nutella?

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“Come te non c’è nessuno?” Vero.  Ma allora perché fai come tutti gli altri? Ecco come anche Nutella prova a distruggere la sua immagine

Le personalizzazioni dei packaging sono davvero un’idea geniale? Anche Nutella, dopo Melegatti, Gentilini, o Coca Cola e Nike, si diverte a diluire nell’acido solforico il suo brand

Da oggi FINALMENTE (…) Nutella avrà 7.000.000 di etichette tutte diverse.

Grazie a una geniale (…) trovata di marketing verrà lanciata sul mercato una serie di barattoli con una grafica personalizzata e un numero di serie.

Ovviamente con una conseguente campagna pubblicitaria e sui social ad hoc. Uno dei primi spot apparsi sulla rete è questo:

Una moda che prende sempre più piede, quella della personalizzazione del packaging.

Dalle lattine di Coca-Cola con il nome e le scritte personalizzate, alle confezioni “limited edition” del pandoro di Melegatti del 2015, alla personalizzazione del prodotto stesso, vedi Nike e la nuova moda di farsi stampare il proprio nome sulla scarpa.

D’accordo. Tu sai come sono fatto, quindi sai già cosa ne penso e in che modo affronterò l’argomento nell’articolo che stai per leggere.

E invece ti sbagli! Eh eh eh eh… questa volta voglio stupirti.

Perché invece io sono fermamente convinto che questa incredibile moda di cambiare volto alle confezioni storiche di brand-simbolo della categoria sia una strategia di marketing vincente e che permetterà non solo di rafforzare la brand identity, ma anche di vendere più prodotti.

Naaa, dai, non ci crede neanche Caccamo.

Ancora una volta, per l’ennesima volta, mi accingo a presentare l’ennesima corazzata Potemkin dei creativi 2.0.

Ma ora bando alle ciance  e alle facezie.

Torno a fare il serio e ti pongo un’annosa questione che mi tormenta da molto tempo.

Perché quando faccio domande tecniche  ai pubblicitari non mi giunge alcuna risposta?

Perché quando porgo, in modo cortese e del tutto disinteressato, delle domande tecniche al direttore creativo di una qualsiasi agenzia riguardo alla “NUOVA BOMBA!!” … alla nuova genialata, alla nuova trovata creativa di campagna pubblicitaria che si è inventato, regolarmente non mi arriva nessuna risposta?

Che poi, domande tecniche è un parolone. In alcuni casi, come quello di cui ti parlerò fra pochissime righe, non faccio altro che domandare in modo molto tranquillo…

“In che modo questa campagna dovrebbe portare il cliente a vendere di più?”

Perché invece a tutti gli altri che scrivono “Bello!” “Incredibile!” “ GENI ASSOLUTI DEL MARCHETING!” i geni creativi rispondono più pucciosi che mai?

Voglio dire, questo mi fa pensare che per carità, per quanto rispondere a un commento tecnico richieda qualche minuto in più di un “grazie, siete fantastici” e di due cuoricini, il tempo per rispondere non è che non ce l’abbiano proprio.

Anzi, in realtà il tempo per rispondere ce l’hanno, solo che le risposte non sono soddisfacenti.

A volta mi hanno addirittura risposto che “chi pensa che la pubblicità serve solo a vendere è limitato mentalmente”.

A questi mi verrebbe da rispondere che limitati sono loro, oltre che truffatori, a spillare soldi ai loro clienti mentre distruggono lavori di immagine e di brand positioning magari costruiti anche bene negli anni.

Ma passiamo a quello che è successo giusto ieri.

Se tu che leggi segui il mio blog da un po’, sai già che sono solito prendere spunto da vicende, commenti e confronti che avvengono sia online che offline, per poi passare alla disamina tecnica del perché io stia sostenendo una determinata tesi.

Cioè: “perché ho fatto quella determinata domanda?”

Questo giusto per sottolineare per l’ennesima volta che non lo faccio perché non ho niente di meglio da fare, anzi.

Ragazzi, io non è che mi diverto a rompere le palle ai creativi eh. Forse qualcuno che mi segue sui social potrebbe pensare al contrario, ma la verità è questa.

Ogni volta che io vedo:

  • Una campagna pubblicitaria inutile

  • Un payoff deposizionante

  • L’assenza di una vera reason why in un messaggio

  • Assenza di competenza di quelli che dovrebbero essere professionisti della comunicazione

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una parte di me muore.

Una piccola parte del mio spirito professionale se ne va da qualche parte a pensare che per ciò che sto facendo io non c’è speranza, che contro questi titani della fuffa non potrò mai averla vinta, io piccolo e pazzo contro i mostri sacri del nulla.

Per fortuna poi rinsavisco, e mi metto a scrivere, sperando nel tuo appoggio.

Io so che non sono solo perché ora ci sei tu che leggi, e che capisci che il mio obiettivo non è essere “contro i creativi”.

In molti pensano che io sia “contro qualcosa”. Punti di vista, io credo invece di essere “a favore dell’ imprenditore medio”, stanco di subire soprusi da parte di chi continua a vendere fumo negli occhi.

Non solo. Ma essendo io un mero ricercatore della pubblicità che vende, mi interrogo continuamente.

E se permetti, interrogo i diretti interessati, per capire in che modo i loro servizi permettono ai loro clienti di avere ritorni sull’ investimento.

In fondo, non mi sembra di violare nessuna regola né di essere scortese.

Per intenderci, se vai da un medico perché hai il mal di schiena, e questo ti prescrive due punturone al giorno di un farmaco che non conosci, avrai il sacrosanto diritto di chiedere a cosa serve quel farmaco e in che modo gioverà alla tua salute, o no?

Ok, mi dirai, “ma non sei mica tu il cliente dell’agenzia!”

D’accordo. Ma sai perché la cosa mi sta tanto a cuore? Adesso te lo spiego subito.

Perché il “cliente”, imprenditore, manager, professionista, AD di una grande multinazionale o di una piccola aziendina locale, fa questo tipo di ragionamento (legittimissimo e che purtroppo va a discapito di tutti quelli (pochi) che in Italia fanno ancora pubblicità a un livello professionale ragionevole):

  • 1. Pago un’agenzia pubblicitaria che si occupi della comunicazione della mia azienda

  • 2. L’agenzia ti confonde con una serie di termini che non capisci bene ma che ti piacciono perché ti danno sicurezza e un’ impressione di professionalità, poi ti parla di campagne emozionali e di brand awareness e, ehi, le emozioni piacciono a tutti

  • 3. Le loro campagne emozionali non ti portano neanche un centesimo in cassa

  • 4. Hai buttato via soldi e di conseguenza credi che la pubblicità serva solo a far buttare via soldi e basta

  • 5. Il prossimo logo, il prossimo slogan e le prossime campagne le fai scrivere a tuo nipote neolaureato in Lettere che almeno non ti dilapida il patrimonio!

E ti dirò, c’hai pure ragione a pensarla così e fare così.

Solo che a questo punto è giusto che tu sappia una cosa. Ovvero che il mondo della pubblicità non è solo brand awareness, non è solo soddisfazione dell’ego creativo dei direttori artistici. Non è solo fuffa e cash out.

Esiste un piccolo sottobosco di professionisti che non si sentono per niente artisti, ma si sentono venditori, che sanno che la pubblicità deve creare ritorni sull’investimento, che deve contenere gli elementi essenziali per vendere, ma che soprattutto sanno come attuare tutto questo.

E sai, caro amico imprenditore o professionista, o manager, io ho una grande fortuna.

E cioè che tutte queste persone lavorano per me.

Ma torniamo a Nutella e alla nuova trovata di marketing della blasonata agenzia Ogilvy & Mather Italia.

Dunque, Ferrero punta sull’idea di unicità col progetto “Nutella Unica”.

E lo fa creando dei vasetti che non avranno più la storica etichetta bianca con la fetta di pane spalmato e la scritta rossa sopra, bensì delle grafiche personalizzate per ogni singolo vasetto, con addirittura un numero di matricola per ogni vasetto.

Ma siamo sicuri che un’operazione del genere collocherà Nutella nella mente dei suoi consumatori come “Unica”?

E soprattutto… ce n’era davvero bisogno?

Facciamo un passo indietro e spieghiamo meglio.

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Un’ unicità già troppo condivisa

Legge del marketing numero 6: la legge dell’esclusività. Dal Vangelo secondo Al Ries e Jack Trout.

“ Quando un concorrente possiede una parola o una posizione nella mente del cliente potenziale, è futile tentare di possedere la stessa parola”

E ancora, citando un esempio reale:

Per quanti coniglietti Eveready getti nella mischia, Duracell riuscirà sempre a tenersi strette le parole LUNGA DURATA”. Duracell è entrata per prima nella testa della gente e si è impossessata del concetto. Persino il DURA del nome lo comunica.”

Torniamo a Nutella.

Nutella è senza dubbio unica nel suo genere. Non solo è unica.

È la leader indiscussa nella categoria di prodotti “creme spalmabili alla nocciola”, così come la Coca-Cola lo è per le bevande analcoliche al gusto cola, così come la Nike lo è per le scarpe sportive, e così come la Melegatti lo è per il pandoro industriale.

Nutella è la “Coca-Cola” delle creme alla nocciola. Di conseguenza, nella mente delle persone non solo Nutella è “unica”, ma è la “cosa vera”, la vera crema alla nocciola, dal sapore insostituibile e irreplicabile.

Dal 1964 a oggi Nutella domina senza pari il mercato delle creme spalmabili in tutto il mondo, è uno dei migliori esempi di prodotto globale ed è presente in oltre 100 paesi su tre continenti diversi.

Nel 2014, l’anno del suo cinquantesimo compleanno, Nutella fatturava 1,7 miliardi di euro, costituendo il fiore all’occhiello della multinazionale Ferrero.

Alzi la mano a chi non piace la Nutella, e chi non pensa che sia unica nel suo genere!

Ora, passiamo agli elementi di riconoscibilità del brand Nutella:

  • 1. Il barattolo: la forma del barattolo è da sempre il visual hammer della Nutella, replicato in qualsiasi formato e dimensione. Ma non solo il barattolo, c’è un’altra cosa che ti fa riconoscere immediatamente la Nutella da tutte le altre, sullo scaffale delle creme alla nocciola dei supermercati;

  • 2. L’etichetta: l’etichetta bianca, con la fetta di pane spalmato di crema, e la scritta in rosso con la N nera che troneggia enorme, è il secondo “pezzo” di visual hammer della crema amata da tutti

Gli elementi che costituiscono il brand dovrebbero essere intoccabili, soprattutto se si parla di “unicità”.

La famosa brand identity, concetto coniato da Ogilvy (ironia della sorte, lo stesso Ogilvy che dà il nome all’agenzia che oggi sta stuprando il brand Nutella), a parte alcuni straordinari casi dove sono necessari “aggiornamenti”, dovrebbe rimanere immutata.

Sai perché ho citato Melegatti e Coca-Cola qualche riga fa?

Perché la trovata di marketing del direttore creativo di Ogilvy & Mather è talmente “unica” che riporta subito la mia mente ( e sono assolutamente sicuro anche la tua e di tanti altri consumatori) ad almeno altri due grandi esempi paralleli, che hanno calcato le stesse identiche orme.

Ovvero, proprio Melegatti e Coca Cola.

Melegatti nel 2014 propone al pubblico, in occasione del Natale ovviamente, una edizione limitata con un packaging totalmente diverso da quello tradizionale: colore nero, forma diversa, e in più un testimonial che col posizionamento dell’azienda c’entra poco o niente: Valerio Scanu.

In particolar modo un articolo molto… “articolato” ( ☺ ) dal blog di Brand Positioning di Frank Merenda e Al Ries, spiegava nel dettaglio quali fossero stati gli errori principali di Melegatti.

(Se vuoi leggere l’articolo completo, vai a questo link: https://brandpositioningitalia.com/melegatti-puo-essere-salvata-mentre-distrugge-il-suo-brand/ )

Se volessimo riassumere quell’ articolo in poche righe comunque: Melegatti si sta auto distruggendo il posizionamento violando i suoi stessi elementi di riconoscibilità, tra tutti il verbal nail, il visual hammer, il focus sul prodotto di punta.

Tralasciando del tutto il caso social che ha coinvolto Giorgio Serafini e uno slogan omofobo uscito non si sa come dagli uffici dell’azienda.

Tralasciamo perché si parla veramente di fantascienza, comunque se non ti ricordi il caso troverai tutto spiegato nell’ articolo che ti ho segnalato prima.

“Che mondo sarà senza Nutella?”

“Che mondo sarebbe senza Nutella?” …

Era uno slogan perfetto per un leader di settore per un brand come quello. C’era il principio di esclusività, di unicità, rimarcava in modo elegante e sobrio la sua leadership.

Il verbal nail ora è stato sostituito con “Come te non c’è nessuno”.

Ora, il sottotitolo di questo paragrafo è puramente una provocazione, non sarà certo l’ennesima follia a far crollare un brand che ha resistito anche alla moda del “contro l’olio di palma”.

Ma a questo punto potevano veramente sostituirlo con una qualsiasi frase di senso alcuno. Tanto, sciocchezza per sciocchezza.

Ritornando un attimo a Melegatti e all’ articolo di prima. Io sono sicuro che in Oglivy & Mather sia andata in questo caso, più o meno allo stesso modo di come se l’è immaginata Frank all’epoca e di come l’ha scritta sul suo post.

Guarda, te la riporto para para, come si suol dire a Roma:

Ora ti faccio la scenetta, seguimi:

“Le nostre vendite sono stagnanti, dobbiamo fare qualcosa!”

“Si ma le vendite sono un pò in calo per tutti da qualche anno nel nostro settore…”

“Si bhe ma è il momento di reagire, di fare qualcosa… dobbiamo dare una svecchiata, adattarci ai giovani, parlare il loro linguaggio, colpire nuovi target!”

“Ma noi simao la Melegatti, un’azienda storica… sei sicuro che questa strategia vada bene per noi?”

“Certo, basta con il solito vecchiume! Aria nuova ci vuole… ho sentito parlare di marketing strano, inconveniente, internazionale…”

“Non convenzionale vuoi dire?”

“Si ecco quello… trovami uno che sappia fare sto marketing non convenzionale, deve essere roba americana, che va forte!!”

“Va bene …”

L’articolo prosegue poi con queste parole:

  1. “Quando il buongiorno si vede dal mattino.”

  2. “In ogni momento della giornata.”

  3. “Soffici tentazioni per tutta la famiglia.”

  4. “Il piacere di stare insieme con dolcezza.”

Cosa sono tutti questi slogan? Roba creativa assolutamente inutile che non parla del brand Melegatti e non ricorda ai clienti perché dovrebbero preferirlo rispetto alla concorrenza.

Sono slogan che potrebbe usare benissimo la Bauli o la Paluani o qualsiasi altro competitor. Perché allora dovrebbe usarli Melegatti se sono privi di significato?

E ora torniamo di nuovo a Nutella, perché qui non solo c’è uno slogan che potrebbe usare chiunque altro.

Ma che se ricordi bene, è già stato usato da più di un brand negli anni passati.

Non ricordi?

https://www.youtube.com/watch?v=z_rPHzX3FeA

Galbanino.

Come te non c’è nessuno. Anno 2001. Canzone usata nello spot? Ovviamente la stessa, quella di Rita Pavone del 1963, “Come te non c’è nessuno”.

Caro direttore creativo di Ogilvy and Mather, forse potrai gabbare le nuove generazioni che vivono online e hanno memoria storica breve.

Ma se vuoi far passare a noi vecchiardi il concetto di unicità associandolo a un brand come Nutella, usando uno slogan già usato qualche anno fa… beh, a voi l’ultima parola.

Ma aspetta, non è finita!

https://www.youtube.com/watch?v=0OOPdya10ZI

Non uno, ma ben due brand diversi sono stati unici in modo uguale tra di loro. Adesso, con Nutella, ci sono ben tre brand ugualmente unici.

Se te lo stai chiedendo, no. Non è una cosa buona. Contravviene in modo diretto e palese alla regola dell’esclusività di Al Ries.

Ma comunque dico io, anche se non conosci Al Ries, anche se non hai letto le 22 immutabili leggi del marketing, insomma, non credo ci voglia un gran genio ad arrivarci.

La popolazione che ha più di vent’ anni ricorda sicuramente se non lo spot di Asiago, almeno quello del Galbanino.

Immediatamente nella loro mente, vedendo la nuova campagna di Nutella, verrà riportata agli spot di inizio Duemila del Galbanino!

E penserà che in fondo poi tanto unici e originali non sono stati.

Non solo. C’è un altro punto che mi interessa esplodere riguardo a questa fantomatica “unicità” di Nutella.

Unicità che ripeto e sottolineo, ESISTE ED E’ PERCEPITA DAL CONSUMATORE, ma che è stata comunicata in modo totalmente erroneo dal nuovo advertising.

I nomi sulla Coca Cola

Comunicare l’unicità di un prodotto allo stesso modo in cui hanno già fatto altri non è un’ ottima mossa.

La personalizzazione del packaging e le edizioni limitate sono già state viste e riviste ultimamente, fino a diventare una vera e propria moda.

Cosa ricordano i 7 milioni di vasetti di Nutella di colore ognuno diverso dall’altro?

Oltre a creare una grande confusione tra gli scaffali dei supermercati, immediatamente riportano alla mente, per esempio, le bottigliette di Coca Cola personalizzate che spopolarono in Italia tre o quattro anni fa, frutto della campagna “Share a Coke”.

Ovvero, cosa ha pensato bene di fare il reparto marketing di Coca Cola?

DI togliere il brand dalle lattine e sostituire il nome dell’azienda che dal 1886 campeggia su lattine e bottiglie della bevanda, con nomi e frasi comuni e hashtag.

Un’ iniziativa di questo tipo era stata intrapresa anche proprio dalla stessa Ferrero, con i barattoli di Nutella da personalizzare con i nomi di persone e con frasi a piacere.

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Questo in nome di cosa? In nome del virale, della condivisione, della visibilità.

Il marketing director di Coca Cola Italia ha spiegato in un’intervista a Panorama che la campagna aveva l’obiettivo di creare viralità su Facebook e di dare a Coca Cola il volto di un “lovebrand”.

La vera chicca di quell’ intervista è questa però:

(l’intervista completa la puoi leggere qui: https://www.panorama.it/economia/aziende/coca-cola-lattine-personalizzate-italia/ )

“Stime di recupero di margini: quali sono i benefici attesi dall’operazione?
La campagna parte a scaffale, quindi nei punti di vendita, in questi giorni. Durerà fino alla fine di agosto e le confezioni coinvolte sono 350 milioni tra bottiglie e lattine. Ci aspettiamo un’accelerazione delle vendite. Attraverso queste operazioni uno degli obiettivi posti non è la crescita delle vendite, ma la crescita delle vendite della categoria in un momento in cui i supermercati soffrono della crisi. Crediamo che l’entusiasmo e il divertimento possano portare energia positiva e di conseguenza più acquisto.”

Cioè capito? Le campagne di marketing di Coca Cola non puntano a far crescere le vendite di Coca Cola, ma della categoria. 

Cioè, basta un po’ di entusiasmo, energia, tutti allegri e via che la gente torna ad acquistare!

Però in una situazione di benessere generale dove Coca Cola fa qualcosa non solo per il brand ma per tutta la categoria dei soft drinks al gusto cola!

Mi tremano quasi le mani mentre scrivo.

Ti rendi conto che questo è l’esempio lampante, uscito così come è stato detto dalle parole di un creativo, che le campagne creative ed emozionali ti faranno fallire, se sei una piccola media impresa?

Che avvalersi dell’operato di certi professionisti, se non hai alle spalle un brand come Nutella e Coca Cola, potrebbe mandarti in pasto agli squali bianchi e ridurre al lastrico te e la tua famiglia, in nome dello sharing sui social, della viralità?

Che se stai pagando un’agenzia creativa hai il 99% di probabilità che i servizi che stai pagando non stanno facendo entrare soldi nelle tue casse, ma in quelle “della categoria”?

In questo momento esatto in cui leggi queste parole, i tuoi soldi stanno entrando, dalle tue campagne pubblicitarie, direttamente nelle tasche del tuo diretto concorrente sul mercato.

Lo vedi lui? Te lo figuri, il tuo avversario, mentre si frega le mani e che si arricchisce mentre il tuo advertising completamente fuori pista gli porta i tuoi potenziali clienti direttamente nel suo negozio?

Ecco, questo succede quando paghi per campagne creative, e come puoi vedere non interessa solo i reparti marketing interni alle multinazionali, ma anche le più blasonate e famose agenzie pubblicitarie di tutto il mondo.

Insomma, in un mercato mondiale in cui più che mai il vecchio Ogilvy avrebbe da fare con i suoi insegnamenti sul branding, si parla di “debranding”, e di super cazzole astronomiche come la brand activation e il marketing emozionale.

Ce n’era davvero bisogno?

Questo recita l’articolo di Wired che parla della trovata dell’agenzia pubblicitaria.

Io non comprendo una cosa, e sarei davvero felice se qualcuno, magari lo stesso direttore creativo della sezione Italia di O&M me la spiegasse.

In quale modo la personalizzazione dei vasetti in vetro, quindi rendendoli ognuno diverso dall’altro, preserverebbe questo valore a loro così caro, questo concetto in via di estinzione come l’identità?

Nutella non ha bisogno di personalizzazione del barattolo, così come non ha bisogno di una nuova identità o di un nuovo slogan.

È già personalizzato, il barattolo e l’etichetta bianca con la scritta rossa è il  visual hammer del brand, perché l’identità di Nutella È il barattolo con l’etichetta bianca e la scritta rossa.

I creativi la stanno distruggendo con le campagne virali, così come era già successo per le edizioni limitate del pandoro Melegatti.

Siamo chiari.

Nemmeno il millantato rischio di cancerogenità di uno degli ingredienti di Nutella ha intaccato il brand. (ricordate la tanto discussa questione sulle accuse all’ olio di palma, moda già in calo), sono certo che non sarà una campagna pubblicitaria a distruggere il brand Nutella.

Ma fatto sta che i cali sulle vendite li subiscono anche loro ( nel 2013 ha chiuso con un -5,3% del fatturato: per la prima volta in quasi 50 anni).

Altra cosa: un brand come Nutella non può crollare nemmeno con questi buchi nell’acqua, ma tu potresti dire lo stesso della tua azienda?

Ti ricordo che l’obiettivo di questo, come di tutti gli altri miei articoli del blog, non è mostrare l’incompetenza di quelli che fanno l’advertising alle grandi aziende, ma far capire alla realtà imprenditoriale italiana, soprattutto quella medio piccola, che quello non è il modo corretto di agire.

Che non è che “siccome loro sono grandi multinazionali allora sicuramente fanno le cose giuste”.

Anzi. Molte volte ho l’impressione che a ricoprire certi ruoli ci mettano i fessi proprio perché sanno di limitare i danni in realtà così grosse.

Sono pronto a scommettere che il direttore marketing di Mac Donald, o di Coca Cola, metterebbe sul lastrico te e la tua famiglia, mandando a puttane il tuo lavoro di una vita in meno di un mese.

Conclusioni

Tirando le somme di questo articolo, arrivo alle conclusioni.

Sono certo di due cose:

  • 1. Il danno all’immagine è immediatamente visibile: dal punto di vista pratico ad esempio, io sono convinto che la gente farà più fatica a riconoscere a prima vista i barattoli la Nutella sugli scaffali e questo porterà a un calo delle vendite;

  • 2. Una cosa del genere non SERVE A NIENTE A UN’ AZIENDA COME NUTELLA

Un marchio del genere non dovrebbe fare altro che rimarcare e sottolineare la sua unicità e il primato della sua categoria.

Se uno slogan funziona, stai pur certo che poi arrivano i creativi e lo eliminano.

Che fine ha fatto “Che mondo sarebbe senza Nutella”?

Sono certo che se chiedessimo “perchè mangi Nutella?” Potremmo avere risposte tipo:

  • È la mia droga;

  • La amo;

  • È un orgasmo;

Eccetera eccetera, a piacere.

Dubito che nessuno risponderebbe mai “perchè così mi sento parte di una community”.

Ma i creativi questo non lo sanno.

Noi lo sappiamo perchè siamo venditori. Non siamo artisti.

Nutella è già unica così, e l’unica cosa che dovrebbe fare è continuare a dire alla gente: “Noi siamo la cosa vera, noi siamo i primi nella tua testa, e dopo più di cinquant’ anni, sarebbe ancora un mondo di merda senza Nutella”.

L’ultima cosa, e poi ti saluto.

Io sono ASSOLUTAMENTE CONVINTO, al 100%, che se proprio volessero fare una campagna virale, che coinvolge il target dei giovani sui social, per fare brand awareness e tutte quelle super cazzole che hanno in mente i creativi per rincorrere i loro Leoni a Cannes…

l’unica cosa da fare sarebbe prendere trenta secondi di questo spot e appiccicarci alla fine il marchio “NUTELLA”.

Scherzo? Chi lo sa…

https://www.youtube.com/watch?v=7WMaDyA8F0A

Per scoprirlo c’è solo un modo.

Contattami da qui: https://cosimoerrede.wpengine.com/contatti/

A presto,

Cosimo Errede

P.S. Ti ricordi che all’ inizio del post ti ho parlato dei creativi che non rispondono alle mie domande?
Quando un paio di giorni fa è stata lanciata la campagna “Nutella unica”, la bacheca Facebook del direttore creativo di Ogilvy & Mather è stata inondata di complimenti da parte di vari utenti.

Io, in veste di tecnico dell’advertising, ho rivolto direttamente a lui un paio di domande:

  1. Perché questa pubblicità dovrebbe far vendere anche un solo vasetto di Nutella in più?
  2. Cosa ne penserebbe David Ogilvy?

La risposta? Non è mai arrivata… O meglio, è arrivata, ma evidentemente non è stato compreso a fondo il senso della mia domanda, così è arrivata una risposta un po’ piccata, come se fosse stata rivolta un’offesa personale.

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